In seguito a una guerra scatenatasi tra gli dèi, il padre di Pelope venne gettato negli Inferi e lo stesso Pelope fu cacciato dall’Olimpo. Il giovane si stabilì quindi in Grecia, dove decise di sposare Ippodamia, la bellissima figlia del re Enomao. Ma anche molti uomini delle terre vicine desideravano la mano di Ippodamia. Così il padre di lei dichiarò che la figlia sarebbe stata concessa a chi l'avesse sconfitto in una corsa di carri. Chi perdeva, però, avrebbe pagato con la vita.
Ecco le regole della gara: subito dopo la partenza, il re avrebbe sacrificato un ariete a Zeus e solo in seguito avrebbe iniziato a inseguire un pretendente. Se, nonostante il vantaggio del pretendente, fosse riuscito a raggiungerlo, lo avrebbe trafitto con una lancia.
A tutti i pretendenti le regole della gara sembravano fin troppo facili: vuoi per il vantaggio, vuoi per il fatto che il re era già molto debole e anziano. Uno dopo l'altro giunsero a palazzo, si inchinarono dinanzi a Ippodamia e chiesero al re la sua mano. Il sovrano ricevette gentilmente ognuno di loro, li rifocillò, li fece riposare e fece preparare un bellissimo carro con quattro cavalli chiamato quadriga. Dopo il segnale della partenza, il re si dirigeva verso l'altare e partiva per la corsa solo dopo aver sacrificato l'ariete, mentre il pretendente era già in pista. Ma ogni volta i cavalli del re, più veloci del vento, raggiungevano l’avversario molto prima che arrivasse al traguardo.
Dopo che dodici pretendenti ebbero pagato con la vita, venne il turno di Pelope. Appreso il destino dei suoi predecessori, alla vigilia della gara, il giovane si recò in riva al mare e invocò Poseidone, il sovrano di tutti i mari: “Oh, potentissimo dio! Aiutami a battere il re. Dammi la forza, in modo…